Claudiaexpat ci parla di Iris Origo, scrittrice e storica anglo-irlandese, che ha scoperto per caso durante una visita nella bella Val d’Orcia, in Toscana.
Se non vivete in Val d’Orcia, forse non avete mai sentito parlare di Iris Origo. Se ci passate per caso, forse non la scoprirete. A meno che, come me, non siate appassionate di lettura e non vi perdiate la libreria anche nel più piccolo paese che visitate.
Io ho scoperto Iris Origo così, entrando in una piccola libreria a Bagno Vignoni. In bella vista c’era un libro in inglese, War in Val d’Orcia, a firma sua, Iris Origo. Ovviamente l’ho acquistato e letto. E ho scoperto una figura di donna straordinaria. Provo a spiegarvi cosa, in particolare, mi ha colpito in lei.
Iris Bayard Cutting era, innanzitutto, un’espatriata. Nata in Inghilterra da un facoltoso industriale statunitense e una nobile irlandese, Iris trascorre la sua infanzia tra due continenti, gli Stati Uniti e l’Europa, fino ad installarsi a Villa Medici, sulle colline fiesolane. E’ proprio lì che incontra Antonio Origo, un giovane e visionario marchese toscano. Si sposano, e insieme decidono di dar vita a un progetto che va decisamente al di là delle convenzioni del loro tempo.

Nel 1927 acquistano La Foce, un’enorme proprietà incolta e dimenticata, distesa tra le pieghe aspre della Val d’Orcia e quelle più morbide della Val di Chiana. Le condizioni della zona, all’epoca, erano tutto fuorché quello che ci si poteva immaginare per due giovani aristocratici abituati ai lussi: strade impervie, terra avara, abitazioni fatiscenti e un’economia agricola al limite della sopravvivenza.
Io me la sono immaginata, questa donna, entrare nell’enorme villa che voleva far diventare casa, e muovere i primi passi tra le mille difficoltà della zona. Mi è sembrato di risentire i commenti dispensati da amici e parenti quando io e mio marito comprammo un rudere isolato da tutto, decisi a trasformarlo, un giorno, in casa.
Iris Origo e suo marito si buttano con entusiasmo e grande motivazione in quello che consideravano non solo un luogo da abitare, ma da far rinascere. Cominciano da La Foce, la loro dimora, e chiamano un architetto inglese, Cecil Pinsent, ad occuparsi degli immensi giardini. Sono proprio loro, gli splendidi giardini all’inglese, ad essere ancora oggi visitati da decine di turisti che si riversano alla Foce da ogni dove.

Ma più che l’estetica, ciò che davvero anima il progetto degli Origo è la dimensione umana. Con tenacia, si dedicano alla costruzione di una comunità rurale nuova. Costruiscono case coloniche dignitose, un ambulatorio per le cure mediche, una scuola, un dopolavoro per l’istruzione e lo svago. La visione che li anima è che senza giustizia sociale, la bellezza non esiste.
Ho partecipato a una conferenza su Iris Origo al British Institute di Firenze, e mi rammarico di non poter condividere le splendide fotografie che la nipote di Iris ci ha mostrato. La giovane donna si divideva tra l’ambulatorio, la scuola, il doposcuola, e mille altre incombenze. Presto diventa madre, dando alla luce Gianni, nel 1925. Il piccolo, però, muore di meningite dopo solo otto anni. E’ in reazione a questa tragedia che Iris si rifugia nella scrittura. Da sempre attratta dal mondo delle lettere, scrive una biografia di Giacomo Leopardi, alla quale seguiranno tante altre opere di carattere storico.

Iris era una studiosa attenta e raffinata, e il suo interesse per le vicende toscane del passato, e i suoi personaggi, era vivo e vorace. Con rigore e passione, ci ha lasciato opere di grande rilevanza dal punto di vista storico. Tra queste cito in particolare Bernardino da Siena e il suo tempo, e Il mercante di Prato, Francesco di Marco Datini. La sua produzione storica è stata molto prolifica.
Io però mi voglio soffermare sul suo Guerra in Val d’Orcia, Diario 1943-1944. E’ stato il suo primo libro che ho letto, e quello che me l’ha fatta conoscere nel suo aspetto direi più umano. Perché questo libro altro non è che un estratto dei diari che Iris Origo non ha smesso di alimentare neanche durante il più terribile anno della seconda guerra mondiale.
Terribile lo è stato anche per chi, come lei, privilegiata, in una posizione di prestigio rispetto al resto dei valligiani, era probabilmente più facilitata a procurarsi quanto per gli altri scarseggiava. Iris non si è mai, per tutto il periodo della guerra, tirata indietro di fronte a nulla. E se nei suoi scritti, anche i più intimi, si sente sempre un certo riserbo di fondo che la trattiene dall’esprimere chiaramente il suo pensiero, le sue azioni parlano chiaro. Sono stati una ventina i bimbi e bimbe accolti alla Foce in quell’anno. Erano tutti sfollati da Torino e Genova dopo che le loro case erano state distrutte. Anche soldati in fuga e partigiani hanno sempre trovato rifugio o altra forma di protezione nella villa.
Ma la morsa si stringeva anche intorno a loro, e in nessun momento, neanche nel più tragico e caotico della fuga durante gli ultimi giorni, quelli della liberazione, Iris abbandona i piccoli e le piccole che aveva così amorevolmente accudito. Dev’essere stata una ben strana e commovente comitiva, quella formata da lei e dalle sue due bambine, Benedetta e Donata, l’infermiera che aiutava il gruppo, e venti creature di tutte le età, spaventate e disorientate, in marcia per cercare rifugio dai bombardamenti.

Questo libro mi ha toccato nel profondo perché costituisce una testimonianza diretta della guerra, di tutte le guerre. La mancanza di cibo, la minaccia sempre incombente, la violenza, il tempo sospeso, l’incertezza che abita ogni poro. Iris documenta tutto, dai dettagli del quotidiano ai più grandi accadimenti politici.
Sempre lucida, con una grande coscienza e bussola morale, ad un certo punto dice (la traduzione è mia perché non ho sottomano la versione italiana di War in Val d’Orcia):
“Di tutti i crimini fascisti a cui ho assistito, questo è il più brutto, cattivo e senza senso. Ma siamo tutti colpevoli. ‘Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità’”.
L’ultima frase è tratta da una poesia di John Donne, ma l’affermazione che siamo tutti colpevoli è sua. E continua a colpirmi nella sua attualità. La guerra, quella che attraversa secoli e popoli, è in fondo sempre uguale, come uguale è l’ingiustizia che la marca.
Dopo la guerra, Iris Origo continua a dedicarsi alla scrittura, e divide il suo tempo tra La Foce e Roma. Vive fino al 1988, e viene seppellita alla Foce, di fianco a suo marito e suo figlio Gianni. Le figlie, e dopo di loro le nipoti, mantengono viva la sua memoria, la memoria di una donna che ha saputo integrarsi in una piccola valle fatta di colline silenziose, ha lavorato incessantemente e in tutte le condizioni per creare una casa e una comunità, e ci ha lasciato alcune tra le pagine più belle e toccanti del passato in una regione italiana da me così tanto amata.