Avrai sempre la mia voce (ed. Bollati Boringhieri) è il primo libro di Linda De Luca, nel quale racconta la sua esperienza come interprete medico in alcuni ospedali di e intorno a New York, quando viveva là. Lo recensisce per noi Claudiaexpat.

Mi ha sempre fatto una certa impressione leggere libri di persone che ho conosciuto. E’ un po’ come se mi dessero un bonus: la possibilità di ascoltare la loro voce mentre scorro le parole, o il poter legare certe espressioni che ritrovo tra le righe a fatti o sentimenti condivisi. Linda De Luca l’abbiamo incontrata in più occasioni. E’ stata un libro umano alla prima edizione della Libreria Umana di Expatclic; l’ho incontrata di persona al Salone del Libro di Torino e a casa mia, qui in Toscana; è una delle nostre Sconfinate, nel podcast di Expatclic (qui potete ascoltare il suo episodio), e l’abbiamo infine abbracciata di nuovo recentemente a Roma, poco dopo la pubblicazione di Avrai sempre la mia voce.
La voce di Linda è la protagonista del libro perché tutto quello che ci racconta viene da un luogo molto intimo: quello della trasformazione che le esperienze di vita operano sulla nostra persona. Tutto il racconto è imperniato su questo: le lezioni di vita che i vari pazienti che Linda ha aiutato, prestando loro la sua voce in qualità d’interprete medica negli ospedali, le hanno lasciato nel tempo. E i tesori che Linda ha accumulato grazie al costante confronto tra quello che le era stato insegnato mentre si formava e le realtà, variegate, complicate, sfidanti, che le si presentavano davanti quando si trovava a tu per tu tra i pazienti e i medici.

Con un’onestà a tratti quasi disarmante, Linda non fa segreto della molteplicità degli aspetti che questa esperienza l’ha portata a scoprire. Dalla stanchezza, spesso lacerante, del dover essere in uno specifico ospedale a volte in orari improbi, alla difficoltà del dover tradurre diagnosi delicate o senza scampo; dall’attenzione da porre nel non varcare la soglia tra relazione professionale e relazione empatica con i/le pazienti, al gestire le scoperte, spesso emotivamente sconvolgenti, che il contatto con loro le regalava in abbondanza; dai primi momenti con nuovi pazienti di tutte le età, situazioni mediche e provenienze, agli addii quando si arrivava alla fine della degenza.
In Avrai sempre la mia voce Linda compie più operazioni al tempo stesso. Innanzitutto crea e ci offre un mosaico umano variegato e toccante, perché è in situazioni come quelle in cui lei si trova a lavorare che emerge il lato più vulnerabile degli esseri umani. Ci introduce in un mondo sconosciuto, quello dell’interpretariato medico, con generosità estrema – questo libro è infatti importantissimo anche per chi desidera avvicinarsi a questa professione conoscendone gli aspetti non necessariamente lampanti quando la si guarda dall’esterno. Ci fa assaporare un pezzettino di cultura statunitense, nel modo in cui gli studi di interprete medica vengono impartiti, ma anche nelle relazioni tra medici e pazienti, e nell’ambiente in generale negli ospedali. E non in ultimo, ci parla della sua esperienza di donna espatriata, che all’estero ha trovato una professione profondamente significativa, ma che decide suo malgrado di lasciarsi alle spalle per rientrare al suo paese. Una scelta sicuramente lacerante, alla quale è spesso confrontato chi decide di fare le valigie per vivere un pezzo di vita in altre culture.
All’inizio di questa recensione ho detto che la voce di Linda è la protagonista del libro, ma mi correggo: Linda, una volta di più, presta la sua voce, e qui lo fa per avvicinarci al dolore, senza pateticismi o pietismi. Il dolore di cui ci parla Linda è quello a cui non ci si può sottrarre, quello che mette a nudo l’anima, e spesso la lacera. Quel dolore che, quando avvicinato e vissuto, può renderci più umani, più comprensivi. Può trasformarci in persone davvero connesse alla vita e a chi in questa vita ci accompagna, o che abbiamo il privilegio di incontrare, magari nella corsia di un ospedale.