Non finisce mai, stupro dopo stupro, è l’ultimo libro di Sabrina Prioli, pubblicato da Edizioni Helicon con prefazione di Moni Ovadia. Ce ne parla Claudia.

Sabrina Prioli è una grande amica di Expatclic. L’avevamo ospitata tanti anni fa con un articolo che ci aveva inviato dalla Colombia, sulla fondazione che aveva creato per preservare la cultura indigena della zona. Più avanti, è stata un nostro libro umano in occasione della Libreria Umana 2022. Ci ha di nuovo parlato di sè in un episodio del nostro podcast Sconfinate, Storie di altri mondi. Finalmente, ho potuto abbracciarla di persona al Salone di Torino quest’anno (2025).
La sua storia è ormai nota, ed è inutile rammentarla qui. Anche perché Sabrina ce la ricorda con estrema generosità nel suo ultimo libro, che ho terminato da poco e mi ha lasciato dentro una miriade d’impressioni e di emozioni. Prima di condividerle, però, lasciate che ve lo spieghi a grandi linee. In Non finisce mai Sabrina ripercorre le dolorose tappe che si sono susseguite dopo la violenza a cui è stata sottoposta da una squadra di militari a Juba, in Sud Sudan, dove si trovava per un contratto con le Nazioni Unite.
Il sottotitolo, Stupro dopo stupro, si riferisce al fatto che la violenza subita non è certo finita nel momento in cui i soldati hanno abbandonato il compound in cui Sabrina e altre e altri cooperanti erano stati abbandonati da chi avrebbe dovuto portarli via e metterli al sicuro ben prima che tutto ciò accadesse. La violenza sottile, viscida, pervasiva, che non l’ha più lasciata da quando è stata portata in un ospedale kenyota, da allora ha assunto diversi volti e si è manifestata in diverse forme e circostanze.
In Non finisce mai, Sabrina ci prende per mano con decisione e ci accompagna a viverle tutte. Ci parla innanzitutto dell’indifferenza, della mancanza di sensibilità dispensata come merce in sovrabbondanza, oppure quasi come guaina protettiva da parte di chi non vuole o non sa come accogliere quello che le è accaduto.
Ma Sabrina è qui per spiegarci. Questo libro è il suo ennesimo accorato appello a non rifuggere la responsabilità di guardare in faccia quello che le è successo, perché voltandole le spalle, rifiutandoci di accogliere e di ripercorrere con lei le tappe di un allucinante calvario nei meandri della (in)giustizia italiana e non solo, contribuiamo a un mondo in cui la violenza sulle donne è legittima, accettata e protetta.

Il libro è composto da brevi capitoli, tutti hanno un titolo corto, incisivo, riferito a un momento specifico di tutto quello che è venuto dopo. Non si dilunga in spiegazioni approfondite, Sabrina, perché i fatti parlano da sè: l’inesistente assistenza a Nairobi (neanche un kit d’intervento per questi casi di stupro, le cose basiche, come un paio di mutande pulite, per non andar lontano), l’essere dovuta rientrare in Italia completamente sola, la difficoltà nel trovare avvocati che la rappresentassero, la lotta, portata avanti nell’assenza totale delle nostre istituzioni, per vedere puniti i responsabili della violenza, il muro di gomma del nostro governo, il disinteresse globale, quando non i commenti, terribili, sul fatto che “te la sei andata a cercare“.
Ecco, direi che il pregio di questo libro è proprio mostrare come lo stupro non resti un fatto isolato. Certo, la violenza più grave, l’umiliazione più cocente, il frantumarsi dell’identità e della relazione col mondo esplodono tutti in quel momento. Ma Sabrina ci mostra che quello che viene dopo è un capitolo ugualmente violento, fatto di altri tipi di umiliazioni e spregio della dignità umana. Reso ancora più cocente dal fatto che scaturisce da una mentalità che da sempre esercita violenza sulle donne, e non sembra intenzionata a redimersi.
E cosa possiamo chiedere di più a un libro?
Grazie, Sabrina.
Claudia Landini
Foto di testata: Zalfa Imani su licenza Unsplash