In occasione della Refugee Week (16-22 giugno) vi presentiamo qualche storia di autori rifugiati, e alcune delle loro opere.
Ogni giorno milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case a causa di guerre, persecuzioni, carestie e disastri ambientali. Dietro ognuna di loro c’è la storia di una vita interrotta. In questo articolo vogliamo dare spazio alle voci di quegli autori rifugiati che, attraverso la scrittura, sono riusciti a raccontare cosa vuol dire perdere tutto e ricominciare. Scrittori e scrittrici che hanno vissuto sulla propria pelle lo sradicamento e con le loro parole possono aiutarci a comprendere la complessità dell’esilio.

Alidad Shiri
Alidad Shiri è costretto a lasciare l’Afghanistan da solo, all’età di dieci anni dopo aver perso gran parte della sua famiglia. Suo padre, dirigente politico, viene assassinato dai talebani; poco dopo anche la mamma e la sorellina muoiono sotto i bombardamenti. Fugge in Pakistan con la zia e i fratelli rimasti, alla ricerca di un luogo sicuro dove poter proseguire gli continuare a studiare.
Ma in Pakistan si rende conto che non c’è futuro per lui e decide di intraprendere il lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, attraverso Iran, Turchia e Grecia. Dopo più di quattro anni di cammino arriva finalmente in Italia.
Qui riesce a ricostruire la sua vita: si laurea in filosofia all’Università di Trento, e oggi è scrittore, pedagogista e attivista per i diritti dei minori portando avanti un impegno profondo per dar voce a chi, come lui, ha vissuto l’esperienza dell’esilio.
Nel suo libro Via dalla pazza guerra, Alidad Shiri, raccontato con lucidità e chiarezza la sua drammatica fuga e il viaggio verso la salvezza. Una testimonianza intensa e toccante che ci ricorda il potere dell’accoglienza.
Viet Thang Nguyen
Viet Thangh Nguyen nasce in Vietnam e arriva negli Stati Uniti nel 1975, come rifugiato, con la sua famiglia. Dopo aver passato un periodo in uno dei campi profughi destinati ai rifugiati vietnamiti, in Pensilvania, la famiglia si trasferisce in California.
Scrittore affermato di romanzi e saggi, Nguyen ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa nel 2016 con Il simpatizzante. Oltre alla carriera letteraria, è un professore al Southern California University.
Nelle sue opere affronta temi legati alla sua esperienza personale: identità, fuga, razzismo e memoria per citarne alcuni.
Nella raccolta I rifugiati, Nguyen racconta con chiarezza e sensibilità cosa significa vivere tra due mondi, quello del paese di nascita e la patria adottiva. Storie che aiutano a capire la complessità delle emozioni e delle sfide vissute da chi cerca di costruire una nuova vita senza dimenticare le proprie radici.


Dina Nayeri
Dina Nayeri lascia l’Iran da bambina, insieme alla mamma e al fratello. La madre era stata arrestata, interrogata più volte e minacciata di esecuzione dalla polizia morale per essersi convertita al cristianesimo.
La famiglia chiede asilo e, dopo aver trascorso due anni in centri per rifugiati prima a Dubai e poi Roma, alla fine ottiene asilo negli Stati Uniti. Si stabilisce in Oklahoma e prosegue i suoi studi, prima alla Princeton University e poi a Harvard. Oggi vive in Scozia dove insegna scrittura creativa all’Università di St Andrews.
Dina Nayeri è una scrittrice affermata, ha pubblicato diversi libri, tradotti in più di 20 lingue, e saggi, sulla realtà dell’essere rifugiati. La sua passione è raccontare storie e negli ultimi anni ha cominciato a scrivere opere teatrali.
Nel suo libro L’ingrata, Nayeri attinge alla propria esperienza per raccontare cosa vuole dire fuggire, analizzare il rifiuto, spesso silenzioso, delle comunità ospitanti e indagare il profondo smarrimento legato alla perdita di identità.
Mariatu Kamara
Mariatu Kamara è nata in Sierra Leone, e durante la guerra durata tutti gli anni ’90, è stata brutalmente assalita da un gruppo di soldati che le hanno tagliato le mani. Aveva solo dodici anni.
La violenza, però, non è finita lì. Violentata poco tempo dopo da un uomo anziano che le aveva messo gli occhi addosso, Mariatu ha dato alla luce un figlio nato da quello stupro. In quel periodo viveva di espedienti in un campo rifugiati, e ha fatto quello che ha potuto, date le circostanze, la sua giovane età, e il trauma sempre vivo del taglio delle mani, per crescere questo bimbo, che però è morto a circa un anno di vita per una malattia respiratoria.
E’ stato grazie a una famiglia canadese che ha saputo della sua storia, che Mariatu ha ottenuto lo status di rifugiata in Canada. Oggi è rappresentate speciale all’UNICEF per bambini e bambine vittime di guerra, ha creato una fondazione per assistere donne e bambini/e rifugiati vittime di abusi in Sierra Leone, e ha racontato la sua storia nel libro Bite of the mango (tradotto in italiano per Sperling&Kupfer con il titolo Quali mani asciugheranno le mie lacrime).


Aeham Ahmad
Nato e cresciuto nel campo profughi palestinesi di Yarmuk, in Siria, Aeham è noto per le sue esibizioni al pianoforte in mezzo alle macerie durante la guerra civile siriana.
Dotato di un talento non comune per la musica, Aeham aveva cominciato a suonare a cinque anni, e frequentato il Conservatorio di Damasco. Allo scoppio della guerra, trasportava il suo pianoforte tra le case distrutte e suonava per dare speranza e portare un po’ di sollievo.
I video delle sue esibizioni sono diventati virali grazie a YouTube, ma quando il suo pianoforte viene distrutto, Aeham decide di lasciare la Siria e, attraverso Lesbo e Izmir, raggiunge la Germania, dove ottiene lo status di rifugiato.
Aeham racconta la sua storia nel bellissimo libro Il pianista di Yarmouk, uno dei più toccanti e coinvolgenti racconti che ho letto sulla guerra civile e l’assedio di un campo profughi.
JJ Bola
Nato a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, JJ Bola è arrivato nel Regno Unito all’età di sei anni. I suoi genitori avevano richiesto lo statuto di rifugiati, e a lungo non hanno avuto documenti ufficiali. Il fatto di non possedere un passaporto ha impedito a JJ di viaggiare per competizioni internazionali di basket, sport in cui aveva mostrato da subito una grande bravura.
JJ si dedica quindi alla scrittura, in particolare con collezioni di poesie, e successivamente con la pubblicazione di due romanzi. Il primo, autobiografico, è No place to call home – un bellissimo e delicatissimo racconto fatto da un bimbo che non sa cosa sta succedendo nel suo nuovo paese. E’ veramente un’opera toccante che raccomando caldamente. Tradotti in italiano trovate L’atto altruistico di respirare, edito da Frassinelli, e Giù la maschera. Essere maschi oggi, edito da Einaudi ragazzi.


Kader Abdolah
Kader Abdolah nasce ad Arak, in Iran, e frequenta l’università a Teheran. Da sempre attratto dalla scrittura, comincia a pubblicare sotto lo pseudonimo che usa tutt’oggi. Quando capisce che il regime ha scoperto che è un attivista politico, decide di lasciare il paese, e dopo tre anni in Turchia, chiede asilo politico in Olanda.
Impara l’olandese da autodidatta, e comincia a scrivere i suoi libri in questa lingua, che ha definito “una lingua che lo fa sentire libero“. E’ autore di opere meravigliose, alcune a carattere autobiografico, come Il viaggio delle bottiglie vuote, altre che ripercorrono la storia e la cultura del suo paese d’origine, come La casa della moschea, Il re e Scrittura cuneiforme.
Tutti i suoi libri sono pubblicati da Iperborea.

Malala Yousafzai
Malala Yousafzai è un’attivista pakistana per i diritti civili e, in particolare, per il diritto all’istruzione delle bambine. Figlia di un insegnante, inizia giovanissima a frequentare la scuola del padre e impegnarsi per i diritti delle donne.
Denuncia pubblicamente gli abusi dei talebani pakistani e nel 2012 viene colpita gravemente da un proiettile alla testa mentre torna da scuola.
Dopo essere andata in Gran Bretagna per ricevere cure adeguate, per Malala e la sua famiglia non è più possibile tornare in patria. Nel 2014 vince il premio Nobel per la pace e nel 2020 si laurea in filosofia politica a Oxford.
In Siamo tutti profughi, Malala Yousafzai racconta il suo viaggio nei campi profughi di tutto il mondo, raccogliendo testimonianze, sogni e speranze dei giovani che vi abitano.
Ibrahima Lo
Ibrahima Lo arriva in Italia nel 2017, come minore non accompagnato, avendo perso i suoi genitori qualche anno prima. Ha 17 anni e alle spalle un lungo viaggio attraverso il Niger, la Libia e il Mediterraneo.
Ottiene il permesso di soggiorno ma essendo quasi maggiorenne non può proseguire gli studi, il suo sogno di diventare giornalista sembra sfumare: l’unica prospettiva è lavorare.
Nonostante tutto, con molta determinazione riesce a conciliare studio e lavoro, trovando nell’istruzione la possibilità di costruire un nuovo futuro.
Ospite Libreria Umana di Expatclic, nel suo ultimo libro La mia voce, Ibrahima Lo ritrova i volti e le storie delle persone che ha perso lungo il viaggio verso l’Italia. Vite spezzate troppo presto, che attraverso le sue parole tornano a vivere nella memoria.

Se anche voi conoscete autori rifugiati e volete segnalarceli, non esistate a scriverci, info-at-expatbooks.org
Barbara Amalberti
Claudia Landini
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